Nasce ufficialmente il 27 gennaio del 1878 per volontà di Re Umberto I°, il quale decretò, in tale data, la conurbazione di due piccoli comuni preesistenti: Paracorio e Pedavoli.
Di essi, come piccoli villaggi si ha notizia già dal 1050, in alcuni documenti della Curia Vescovile di Oppido-Palmi (allora grecanica, di Agia-Agathè), conservati presso l’archivio Vaticano. Anche le origini dei due comuni sono diverse.
La tradizione vuole PARACORIO discendere dall’antica Delia, città della costa jonica meridionale, distrutta dai Saraceni nel IX secolo e precisamente nell’839 quando questi, provenienti dalla Sicilia, approdarono presso Capo Spartivento, saccheggiando le case sparse qua e là nel territorio di Bova, devastando i campi, depredando il bestiame e lasciando come unico mezzo di difesa la fuga.
“...una porzione (di quegli abitanti) volendo quasi nascondersi al commercio degli uomini passò tutte le Montagne, ed in luogo, ove ancora pochissima gente vi era andata, formò un’abitazione, nomandola col termine greco Perachorio, cioè Paese di là dalle Montagne; ivi abitando posero gli stessi nomi alle loro contrade, che attualmente sono nella Marina di Bova, e tali fin’oggi si mantengono, anzi in una fontana si vede un’iscrizione, ove diceva: NOS GENS DELIA, il che ci fa comprendere essere stati quei popoli abitatori di quella contrada, situata nella Marina di Bova, che tocca il lido di Spartivento, e chiamata fin’oggi Delia, per essere stata fondata da una colonia di Greci venuti dall’isola di Delo...
Questo paese, Peracorio, 30 miglia lontano da Bova nella Diocesi di Oppido, è soggetto nel temporale al Conte di Sinopoli.
I suoi abitanti, per essere stati bovesi, in ogni bisogno di Bova prontamente correvano armati ad aiutarli, cosicchè da allora restò in uso di venire nella festa principale di San Leo in Bova una gran compagnia di essi, armati con tamburi e bandiere e con terribili scariche di schioppi a onorare la festa.
I cittadini di Bova vicendevolmente, nella festa principale di Peracorio, colla guida di alcuni principali della Città armati di picca militare, sogliono sin’oggi andare armati colle proprie bandiere, e tamburi, e festeggiar quel giorno, colla differenza però, che quei di Peracorio, per antica convenzione devono venire due anni in Bova e poi li Bovesi uno solamente.” (Alagna D. - 1775) Chiara, quindi, l’origine jonica di Para- o Pericorio, mentre è tirrenica quella di PEDAVOLI.
Sempre nello stesso periodo infatti (850-900) l’antica e vetusta Tauriana veniva ripetutamente presa d’assedio dagli stessi saraceni. I suoi abitanti, pertanto, si ritirarono alcuni nelle immediate vicinanze (Seminara) altri all’interno, dando così origine alla maggior parte dei paesini oggi presenti nel territorio e tra questi a Dapidalbon (è questo, invero, il primo nome attribuito al nostro villaggio).
Nel corso degli anni cambiò il proprio nome in Pedavoli.
Molte le chiese presenti nel territorio di Pedavoli.
Oggi restano la chiesetta sconsacrata, dedicata a Maria SS. della Purità, appartenente alla famiglia Licastro, la chiesetta rurale dedicata a S. Elia e la chiesa parrocchiale dedicata a San Nicola, che era “orientem versus” come gran parte delle chiese di antica costruzione della diocesi di Oppido.
Poco distante sorgeva quella di San Giovanni Battista, che fu per lunga consuetudine soggetta a San Giovanni in Laterano e quindi esclusa dalla giurisdizione del vescovo tanto che vi si poteva fruire del rito di rifugio.
Soltanto nel 1773, per gli abusi insorti intorno a questa sovranità, si provvide all'eliminazione del privilegio.
È in questa chiesa che fu introdotto il culto di San Pasquale, dopo la sua beatificazione. Come viene ovvio pensare, Pedavoli con la sua molteplicità di chiese e di culti di santi rappresentava un centro d'elezione per il fervore religioso dei secoli scorsi.
Pedavoli e Paracorio furono casali di Santa Cristina e come tali appartennero al feudo di Sinopoli che dal XIII secolo fu dominio dei Ruffo di Calabria fino al 1494. Dal 1495 (secondo altre fonti dal 1517), la signoria passò alla famiglia Spinelli, che la mantennero fino al 1806. Qualche anno prima, però, a fare scempio delle nostre terre, ci pensò quello che passò alla storia locale come “u fracellu” (il flagello).